In tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, la nozione legale di dispositivi di protezione individuale non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l’articolo 2087 c.c.; ne consegue la configurabilità a carico del datore di lavoro di un obbligo di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei DPI.

La vicenda nasce dalla richiesta di tre lavoratori nei confronti della società, datrice di lavoro, volte alla condanna di quest’ultima al pagamento – a titolo risarcitorio – dell’equivalente del costo affrontato per il lavaggio delle divise, in quanto (“dispositivi di protezione individuale”).

I giudici di merito richiamando l’art. 74, comma 2, del d.lgs 81/2008, hanno escluso che «gli indumenti “ordinari” forniti ai lavoratori addetti alla pulizia fossero riconducibili ai DPI, in quanto privi della potenzialità di costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore».

I lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 c.c., 74, comma 1, e 77, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 81 del 2008, laddove la Corte d’Appello ha escluso che «gli indumenti da lavoro forniti dalla Società potessero essere qualificati come DPI».

La Corte di cassazione ha accolto il motivo di ricorso, ricordando il costante orientamento secondo il quale «in tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, la nozione legale di DPI non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l’art. 2087 c.c.; ne consegue la configurabilità a carico del datore di lavoro di un obbligo di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei DPI».

La Corte ha, quindi, cassato la sentenza della Corte d’Appello con rinvio concludendo che «il riferimento dell’art. 74 del d.lgs. n. 81 del 2008 a “qualsiasi attrezzatura” nonché ad “ogni complemento o accessorio” destinati al fine di proteggere il lavoratore “contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza e la salute durante il lavoro”, deve essere inteso nella più ampia latitudine proprio in ragione della finalizzazione a tutela del bene primario della salute e dell’ampiezza della protezione garantita dall’ordinamento attraverso non solo disposizioni che pongono specifici obblighi di prevenzione e protezione a carico del datore di lavoro, ma anche attraverso la norma di chiusura di cui all’art. 2087 c.c.; con la conseguenza che la previsione normativa secondo cui il datore mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d’igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie, va letta quale disposizione introduttiva di un ulteriore obbligo di carattere generale, posto a carico del datore di lavoro, di adeguatezza dei DPI e di manutenzione dei medesimi».

Cass. Sez. Lav., ord. 6 maggio 2024, n. 12126 -