Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non già ad un licenziamento disciplinare ma ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con la conseguenza che il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più com­plessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina con­trattuale applicabile, come l'indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo; fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato.

La Suprema Corte ha innanzitutto ribadito il consolida­to orientamento della giurisprudenza di legittimità, alla stregua del quale il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile, non già ad un licen­ziamento disciplinare, ma ad un licenziamento per giu­stificato motivo oggettivo; con la conseguenza che «solo impropriamente, riguardo ad esso, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale e trattandosi di eventi, l'assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta. Ne consegue che il datore di lavoro non deve indicare i sin­goli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti in­dicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un su­peramento del periodo di comporto in relazione alla di­sciplina contrattuale applicabile, come l'indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determi­nato periodo, fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato» (cfr. Cass. 10 gennaio 2017, n. 284; Cass. 5 ottobre 2010, n. 23920; Cass. 18 no­vembre 2010, n. 23312; Cass. 26 maggio 2005, n. 11092). La Suprema Corte ha dunque rilevato che, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 604 del 1966, ricade sul datore di lavoro l'onere di provare il requisito costitutivo dell'esercizio del potere espulsivo, rappresentato dalla realizzazione da parte del lavoratore di un numero di assenze per malattia superiore a quello indicato dalla contrattazione collettiva di settore quale limite massimo di conservazione del rapporto di lavoro.

Corte di Cassazione Sez. Lav. 23 gennaio 2018, n. 1634