La Corte di Cassazione Sez. Lav., con sentenza del 10 gennaio 2023, n. 398, ha affermato che il giudicato di assoluzione nel processo penale non determina l'automatica archiviazione del procedimento disciplinare perché, fermo restando che il fatto non può essere ricostruito in termini difformi, non si può escludere che lo stesso, inidoneo a fondare una responsabilità penale, possa comunque integrare un inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare; il giudice del lavoro adito con impugnativa di licenziamento, che sia stato comminato in base agli stessi comportamenti che furono oggetto di imputazione in sede penale, non è obbligato a tener conto dell'accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazioni degli stessi svincolate dall'esito del procedimento penale.

La vicende trae origine dal ricorso proposto dal lavoratore avverso il licenziamento per giusta causa chiedendo la condanna del datore di lavoro al pagamento dell'indennità di mancato preavviso nonché al risarcimento del danno patito.

Il ricorso è stato respinto in primo e secondo grado. In particolare, la Corte di appello ha motivato la propria pronuncia di rigetto sottolineando come dovesse ritenersi rilevante sotto il profilo disciplinare - e come integrasse giusta causa di recesso - il fatto che il ricorrente fosse stato il referente ed avesse intrattenuto rapporti con una serie di persone condannate per reati in danno della società, nonostante egli fosse stato assolto in sede penale con riferimento a tali condotte.

Il lavoratore propone ricorso per Cassazione, denunciando l'erroneità della sentenza d'appello per avere la Corte ritenuto disciplinarmente rilevante la circostanza che il ricorrente avesse intrattenuto relazioni personali con soggetti condannati, tenuto conto che, in sede penale, egli era stato assolto dalle accuse riconnesse a dette relazioni e che, dunque, i fatti contestati non costituivano reato.

La Suprema corte nel respingere il ricorso ha precisato che l'attività di integrazione del precetto normativo di cui all'art. 2119 c.c., compiuta dal giudice di merito ai fini dell'individuazione della giusta causa di licenziamento non può essere censurata in sede di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale.

La Corte di Cassazione conferma il giudizio dei giudici di merito che correttamente erano «pervenute alla conclusione che tutto il quadro complessivamente emerso nel corso del giudizio fosse idoneo a determinare la rottura insanabile del vincolo fiduciario tra la società datrice di lavoro ed il proprio dirigente a parte i procedimenti penali che hanno riguardato la società», affermando che con riguardo «alla rilevanza delle sentenze penali nel procedimento disciplinare» «opera il principio generale secondo cui il giudicato non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità».