Il d.m. n. 400/2017 non solleva i dubbi di legittimità costituzionalità o di contrarietà con l'ordinamento dell'Unione Europea. Va infatti evidenziato che appare ragionevole e ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso la selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di precariato storico, per evidenti ragioni sociali. Ragioni che giustificano pienamente l'attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 2000, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi. Spetta al giudice nazionale una delicata valutazione — da condurre caso per caso — al fine di verificare la sussistenza, o meno, di ragioni oggettive che a norma della medesima Direttiva possano giustificare un trattamento differenziato dei lavoratori a tempo determinato. Per l'individuazione di tali ragioni, in effetti, non si rinvengono parametri di riscontro nella direttiva 1999/70/CE, ma la Corte di Giustizia (Grande sezione, sentenza del 4 luglio 2006, causa C-212/04 — Adeneler) ha precisato che il significato e la portata della relativa nozione debbono essere determinati in funzione dell'obiettivo perseguito dall'accordo-quadro e, in particolare, del contesto in cui si inserisce la clausola 5, n. 1, lettera a) dello stesso (clausola, quella appena indicata, che mira a prevenire gli abusi, derivanti dall'utilizzo di più contratti di lavoro successivi a tempo determinato, dovendo, invece, la forma generale dei rapporti di lavoro essere a tempo indeterminato, in quanto la stabilità del posto costituisce elemento importante per la tutela dei lavoratori). Il margine di discrezionalità, lasciato al riguardo agli Stati membri dell'Unione, resta, dunque, contenuto dalla necessità di garantire il risultato imposto dal diritto comunitario, alla luce sia dell'art. 249, comma 3, del Trattato che del punto 1 dell'art. 2 della direttiva 1999/70: la nozione di « ragioni oggettive », pertanto, deve essere « riferita a circostanze precise e concrete che caratterizzano una determinata attività », in modo tale da giustificare, in un particolare contesto, l'utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi (sentenza Adeneler cit., punto 88). Dette circostanze possono essere il risultato della particolare natura dei compiti, per il compimento dei quali i contratti sono stati conclusi, o del perseguimento di obiettivi legittimi di politica sociale di uno Stato membro. Per quanto riguarda la reiterazione di contratti di lavoro a termine, ad esempio, può agevolmente sostenersi che tale reiterazione deve essere giustificata da esigenze temporanee, straordinarie ed urgenti del datore di lavoro e non essere finalizzata a soddisfare fabbisogni permanenti. È di tutta evidenza che le disposizioni normative in esame rispondono pienamente alla disciplina comunitaria, in quanto, appunto, volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato » .
T.A.R. sez. III - Roma, 03/04/2018, n. 3656