La pubblica amministrazione, al pari di qualsiasi altro soggetto, in virtù del principio generale della “neminen laedere”, cioè del dovere giuridico di non ledere l’altrui sfera giuridica è soggetta alla responsabilità civile per i danni arrecati ai terzi dall'attività illegittima dei propri dipendenti. La responsabilità civile si concreta nel dovere giuridico posto a carico dell'autore del danno di risarcire il danno stesso (art.2043 cod. civ.).
La responsabilità della pubblica amministrazione è sancita dall'art. 28 della Costituzione che stabilisce: " i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, negli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato e agli enti pubblici".
La norma costituzionale testé citata ha trovato applicazione nell'art. 22 del T.U. sugli impiegati civili dello Stato approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 in cui si dispone che gli impiegati dello Stato rispondono personalmente dei danni arrecati ai terzi, per dolo o colpa grave, in violazione di diritti soggettivi e degli interessi legittimi.
Da rilevare che la risarcibilità degli interessi legittimi è di recente introduzione. Infatti, è stata la Corte di Cassazione a sezioni unite con la decisione n.500 del 22/7/1999 ad ammettere la risarcibilità del danno derivante dalla lesione di interessi legittimi, mentre in passato la risarcibilità era ammessa solo per la lesione di diritti soggettivi. Il principio è stato successivamente positivizzato dall'art.7 della legge 21/7/2000, n.205.
La responsabilità della pubblica amministrazione si basa sugli stessi principi del diritto privato. Elementi costitutivi di essa sono: la violazione di un obbligo; il danno; l'imputabilità.
1)La violazione di un obbligo: Il dipendente deve aver attuato con un'azione o un'omissione, un comportamento contrario ai propri obblighi di servizio dal quale è derivato un danno per il terzo.
L'azione si concreta in un atto amministrativo dalla cui emanazione il dipendente avrebbe dovuto astenersi. L'atto amministrativo (secondo il Sandulli) di per sé non è idoneo ad integrare gli estremi della violazione del diritto perché l'atto può essere illegittimo, ma non illecito. Illecito può essere solo un fatto. Il danno, pertanto, molto spesso è dovuto non all’emanazione, ma alla esecuzione dell'atto.
L'omissione è, invece, un comportamento negativo e può consistere, tanto nell'omissione, quanto nel ritardo ingiustificato di un atto o di un'operazione, al cui compimento il dipendente è tenuto per disposizione di legge o di regolamento.
L'omissione deve essere fatta constatare da parte di chi vi abbia interesse mediante diffida notificata al dipendente e all'amministrazione, prima di iniziare l'azione di responsabilità. E' solo dopo l'inutile decorso di trenta giorni dalla notificazione della diffida il terzo può proporre l'azione di risarcimento.
In ogni caso perché sussista la responsabilità è necessario che il danno sia stato arrecato nell'effettivo esercizio delle funzioni affidate al dipendente da disposizioni di legge o regolamenti.
2) Il danno: Il danno deve consistere nella lesione di un diritto soggettivo o interesse legittimo. Il danno deve inoltre essere conseguenza immediata e diretta del comportamento omissivo o commissivo del dipendente. Nella valutazione del danno si tiene conto sia della perdita subita dal terzo (danno emergente) sia dell'eventuale mancato guadagno (lucro cessante).
3) L'imputabilità: L'azione o l'omissione devono essere imputabili al dipendente a titolo di dolo o colpa grave; non si risponde per colpa lieve o lievissima.
L'azione di risarcimento da parte del terzo danneggiato può essere esercitata direttamente nei confronti del dipendente ovvero congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'amministrazione. Si ricorda, infatti, che ai sensi dell'art. 28 della Costituzione la responsabilità, per gli atti compiuti dai dipendenti per la violazione dei diritti, si estende allo Stato.
Secondo la dottrina la responsabilità della pubblica amministrazione rispetto a quella dei propri dipendenti è in relazione di solidarietà e concorrenza alternativa, nel senso che il terzo danneggiato può rivolgersi sia all'amministrazione, sia al dipendente. La richiesta di risarcimento all'uno esclude analoga richiesta all'altro.
Nel caso di fatto dannoso dell’allievo è esclusa l’azione civile diretta dell’insegnante, poiché è l’amministrazione ad avere la legittimazione passiva (art.61 legge n.312/80).
Se il terzo ottiene il risarcimento da parte dell'amministrazione questa potrà, a sua volta, rivalersi nei confronti del dipendente, se ha avuto un comportamento connotato da dolo o colpa grave.
La responsabilità dell'amministrazione è esclusa quando l'attività illegittima del dipendente è tale da far venire meno il rapporto organico che lo lega allo Stato. Ciò si verifica quando il dipendente faccia uso delle proprie attribuzioni per raggiungere un fine di personale interesse in nessun modo riferibile alla pubblica amministrazione così come accade, ad esempio, nei reati di corruzione, di concussione, peculato ecc..
La responsabilità civile dei pubblici dipendenti verso i terzi è informata al principio sancito dall'art. 2055 del codice civile, per cui in caso di più corresponsabili, tutti saranno tenuti in solido al risarcimento pur se il giudice ordinario (competente in materia di responsabilità civile), nella sua prudente discrezionalità potrà, nell'ipotesi della diversa gravità delle colpe, graduare proporzionalmente le conseguenze a carico di ciascuno.