La nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma include anche qualsiasi altro comportamento che pregiudichi l'esecuzione e il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro dell'organizzazione aziendale. Ne consegue che è legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che tenga condotte aggressive e intimidatorie nei confronti del superiore gerarchico e di altri colleghi in quanto idonee a pregiudicare il corretto svolgimento delle attività aziendali e, dunque, a ledere il vincolo fiduciario.
La suprema Corte nel caso esaminato ha ricordando che «in materia disciplinare, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva ai fini dell'apprezzamento della giusta causa di recesso, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice, purché vengano valorizzati elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario». In particolare, ha concluso affermando che, con riferimento al caso di specie, «privilegiando una nozione ampia di insubordinazione, quest'ultima, nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l'esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale».
Corte di Cassazione Sez. Lav. 11 febbraio 2020, n. 3277