In caso di recesso del datore di lavoro dovuto ad assenze per malattia del lavoratore, la risoluzione del rapporto costituisce la conseguenza di un caso di impossibilità parziale sopravvenuta dell'adempimento; ne consegue che non rileva la mancata conoscenza da parte del lavoratore della durata complessiva della malattia e, in mancanza di un obbligo contrattuale in tal senso, il datore di lavoro non è tenuto ad avvisare il lavoratore dell'approssimarsi del superamento del periodo di comporto.
Per la Cassazione il recesso del datore di lavoro per l'ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), la risoluzione del rapporto costituisce la conseguenza di un caso di impossibilità parziale sopravvenuta dell'adempimento, in cui il dato dell'assenza dal lavoro per infermità ha una valenza puramente oggettiva; ne consegue che non rileva la mancata conoscenza da parte del lavoratore del limite cosiddetto esterno del comporto e della durata complessiva delle malattie e, in mancanza di un obbligo contrattuale in tal senso, non costituisce violazione da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto la mancata comunicazione al lavoratore dell'approssimarsi del superamento del periodo di comporto. Tale comunicazione servirebbe in realtà a consentire al dipendente di porre in essere iniziative, quali richieste di ferie 0 di aspettativa, sostanzialmente elusive dell'accertamento della sua inidoneità ad adempiere l’obbligazione.
Corte di Cassazione Sez. Lav. 17 agosto 2018, n. 20761