Una dipendente è stata licenziata dall’Ente presso cui lavorava per aver abusato del “diritto” di fruizione dei benefici di cui alla Legge n. 104 del 1992. In particolare la dipendente se ne era andata in vacanza all’estero, godendo di giorni che dovevano servire, invece, secondo la domanda inoltrata all’Amministrazione, per l’assistenza della madre malata. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato la domanda avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare.

Da qui la proposizione del ricorso per cassazione, fondato sull’assoluzione ottenuta dalla lavoratrice in relazione all’imputazione sollevata in sede penale e sulla episodicità del fatto, nonché per omessa motivazione in ordine al contingente precario stato psichico della dipendente stessa.

La Cassazione ha rigettato il ricorso.

Il principio generale è quello per il quale l’abuso del diritto nella fruizione dei permessi contemplati dalla Legge n. 104 del 1992 non presuppone affatto la reiterazione della condotta, risultando, pertanto, idoneo a sorreggere il percorso logico-valutativo intrapreso dalla Corte territoriale e condotto tenendo ampiamente conto della documentazione invocata a sostegno della propria prospettazione dalla ricorrente e addivenendo, in puntuale contrappunto con le risultanze dei medesimi a sancirne l’irrilevanza sotto il profilo della loro incidenza limitativa della gravità della condotta, correttamente apprezzata in conformità ai criteri indicati in sede di giurisdizione di legittimità, senza che possa ravvisarsi alcun vizio logico e giuridico nella prevalenza accordata all’elemento soggettivo della condotta medesima e nella qualificazione al medesimo attribuita in termini di “perdurante ipotesi di dolo”, profili che sono rimessi al libero apprezzamento del giudice del merito.

Cassazione civile, sez. VI, 04/04/2018, 8209