In tema di responsabilità disciplinare del lavoratore per fatti giudicati nel processo penale, l'assoluzione o il proscioglimento con la formula «perché il fatto non costituisce illecito penale» non esclude la materialità del fatto né la sua riferibilità al dipendente pubblico, ma solo la sua rilevanza penale; ne consegue che gli art. 14, 6a e 7- comma, c.c.n.l. ministeri del 12 giugno 2003 e 68, 6ae 7S comma, c.c.n.l. agenzie fiscali del 28 maggio 2004 - che regolano il rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare - vanno intesi nel senso che non escludono la ripresa del procedimento disciplinare nei confronti del dipendente assolto perché il fatto non costituisce reato, dovendosi ritenere una diversa interpretazione, non rispondente a criteri di ragionevolezza, perché in contrasto con la necessità, costituzionalmente avvertita, che l'azione amministrativa sia ispirata ai principi di buon andamento ed imparzialità e, facendo dipendere la possibilità di valutazione disciplinare di un fatto dalla circostanza, estrinseca e accidentale, dell'avere il fatto medesimo costituito oggetto di indagine penale, determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto a quei dipendenti, autori di condotte analoghe, che, per qualsiasi ragione, non siano state sottoposti al vaglio dell'autorità giudiziaria penale.
Cassazione civile, sez. lav., 8 gennaio 2013, n. 206