In tema di rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, il giudicato penale non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità, fermo solo il limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità - e dunque, della ricostruzione dell'episodio posto a fondamento dell'incolpazione - operato nel giudizio penale.
Un dipendente di un comune è stato licenziato per giusta causa in quanto aveva ricevuto, in diverse occasioni, l'importo di euro 5,00 dai cittadini per il rilascio di un certificato che invece era gratuito.
Sia in primo che in secondo grado veniva respinta la domanda di annullamento del licenziamento.
Secondo la Corte territoriale la massima sanzione irrogata era proporzionata alla gravità di quanto contestato al lavoratore e, richiamando il contenuto del codice di comportamento adottato dal datore di lavoro, riteneva che «la richiesta o accettazione di regali o di altre utilità anche di modico valore qualora come nella specie non "d'uso" … integrasse un comportamento contrario ai doveri d'ufficio».
In ultimo la Corte d'Appello respingeva la tesi che «potesse avere rilevanza l'esito assolutorio del Tribunale penale in relazione al reato di corruzione e rimarcava l'autonomia della valutazione in sede disciplinare sotto il profilo dell'inadempimento dei doveri ed obblighi che il dipendente è tenuto ad osservare».
Il lavoratore impugnava la sentenza di secondo grado in Cassazione deducendo, tra gli altri motivi di ricorso, la violazione dell'art. 653 cod. proc. pen., violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del codice di comportamento adottato dal datore di lavoro, e dell'art. 4 del D.P.R. n. 62/2013 - Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, poiché la sentenza della Corte di Appello non aveva attribuito «la giusta rilevanza» alla sentenza penale di assoluzione, e non avere ritenuto che «tale assoluzione facesse stato circa l'insussistenza del fatto».
La Suprema Corte rigetta il ricorso del lavoratore ricordando che «l'assoluzione ha riguardato il fatto reato e cioè il fatto corruttivo ma non ha certo escluso il fatto materiale costituito dalla ricezione da privati, nell'esercizio delle funzioni, di somme di denaro" ed evidenziando che "non è precluso al giudice civile di esaminare i medesimi accadimenti nell'ottica dell'illecito disciplinare, non sussistendo alcun vincolo rispetto alle valutazioni nella sentenza penale laddove le stesse esprimano determinazioni riconducibili a finalità del tutto distinte rispetto a quelle del giudizio disciplinare».
Corte di Cassazione, Sez. Lav. 12 febbraio 2021, n. 3659
In tema di rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, il giudicato penale non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità, fermo solo il limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità - e dunque, della ricostruzione dell'episodio posto a fondamento dell'incolpazione - operato nel giudizio penale.
Un dipendente di un comune è stato licenziato per giusta causa in quanto aveva ricevuto, in diverse occasioni, l'importo di euro 5,00 dai cittadini per il rilascio di un certificato che invece era gratuito.
Sia in primo che in secondo grado veniva respinta la domanda di annullamento del licenziamento.
Secondo la Corte territoriale la massima sanzione irrogata era proporzionata alla gravità di quanto contestato al lavoratore e, richiamando il contenuto del codice di comportamento adottato dal datore di lavoro, riteneva che «la richiesta o accettazione di regali o di altre utilità anche di modico valore qualora come nella specie non "d'uso" … integrasse un comportamento contrario ai doveri d'ufficio».
In ultimo la Corte d'Appello respingeva la tesi che «potesse avere rilevanza l'esito assolutorio del Tribunale penale in relazione al reato di corruzione e rimarcava l'autonomia della valutazione in sede disciplinare sotto il profilo dell'inadempimento dei doveri ed obblighi che il dipendente è tenuto ad osservare».
Il lavoratore impugnava la sentenza di secondo grado in Cassazione deducendo, tra gli altri motivi di ricorso, la violazione dell'art. 653 cod. proc. pen., violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del codice di comportamento adottato dal datore di lavoro, e dell'art. 4 del D.P.R. n. 62/2013 - Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, poiché la sentenza della Corte di Appello non aveva attribuito «la giusta rilevanza» alla sentenza penale di assoluzione, e non avere ritenuto che «tale assoluzione facesse stato circa l'insussistenza del fatto».
La Suprema Corte rigetta il ricorso del lavoratore ricordando che «l'assoluzione ha riguardato il fatto reato e cioè il fatto corruttivo ma non ha certo escluso il fatto materiale costituito dalla ricezione da privati, nell'esercizio delle funzioni, di somme di denaro" ed evidenziando che "non è precluso al giudice civile di esaminare i medesimi accadimenti nell'ottica dell'illecito disciplinare, non sussistendo alcun vincolo rispetto alle valutazioni nella sentenza penale laddove le stesse esprimano determinazioni riconducibili a finalità del tutto distinte rispetto a quelle del giudizio disciplinare».
Corte di Cassazione, Sez. Lav. 12 febbraio 2021, n. 3659