L’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, l. 7 agosto 1990 n. 241 ‒ nel disporre che il mancato avviso di avvio del procedimento non comporta l’illegittimità del provvedimento conclusivo ove l’Amministrazione sia in grado di comprovare, in giudizio, che il provvedimento non poteva avere un contenuto dispositivo diverso ‒ non ha inteso onerare quest’ultima di una ‘prova diabolica’, e cioè della dimostrazione che il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso in relazione a tutti i possibili contenuti ipotizzabili.

Pertanto, si deve comunque porre previamente a carico del privato l’onere di indicare quali elementi conoscitivi avrebbe introdotto nel procedimento, se previamente comunicatogli, onde indirizzare l’Amministrazione verso una determinazione diversa da quella assunta (Consiglio di Stato, sez. V, 18 aprile 2012, n. 2257).(…) Anche con riguardo alla violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, deve richiamarsi la regola per cui non ha rilievo invalidante il vizio del procedimento, qualora il contenuto del provvedimento finale non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

L’istituto del preavviso di rigetto ha lo scopo di far conoscere alle amministrazioni le ragioni fattuali e giuridiche dell’interessato che potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale, derivante dalla ponderazione di tutti gli interessi in campo e determinando una possibile riduzione del contenzioso fra le parti.

Tuttavia, tale scopo viene meno ed è di per sé inidoneo a giustificare l’annullamento del provvedimento nei casi in cui il suo contenuto non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia perchè vincolato, sia perchè sebbene discrezionale sia raggiunta la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. III, 1° agosto 2014, n. 4127).

Consiglio di Stato Sez. VI del 23.11.2017