L'art. 2 bis, della legge n. 241 del 1990 ammette al risarcimento il solo danno espressamente qualificato come « ingiusto » ovvero quello che si verifica laddove la dolosa o colposa inerzia o ritardo pregiudichino un interesse sostanziale di effettiva pertinenza del privato. Tale opzione ermeneutica, chiaramente desumibile dal dettato normativo, è avvalorata dalla previsione del successivo comma 1 bis dell’art. 2 bis, della legge n. 241 del 1990, con il quale il legislatore ha voluto, per casi determinati, prevedere — non già il risarcimento del danno ma — il riconoscimento di un indennizzo per i casi di mera inosservanza del termine di conclusione del procedimento.
Il mero superamento del termine fissato ex lege per la conclusione del procedimento non integra la piena prova dell’ingiustizia necessaria, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per il risarcimento del danno extracontrattuale in quanto il ritardo nell'emanazione di un atto è idoneo a configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, solo nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell’amministrato e solo quando tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario o se sussistono fondate ragioni per ritenere che l’interessato avrebbe dovuto ottenerlo.
Il canone ermeneutico della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, di cui all’art. 30 c.p.a., è ricognitivo dei principi già contenuti nell’art. 1227 comma 2, c.c., così che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce, nel comportamento complessivo delle parti, valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, non più una preclusione di rito ma un fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.
TAR LAZIO n. 2142 - Sez. IlI ter del 5 febbraio 2015