In materia di sicurezza lavoro, la richiesta di risarcimento del danno integrale per violazione dell'art. 2087 c.c. contiene quella di danno differenziale.
Dunque, in caso di azione contrattuale formulata per le ipotesi di responsabilità ex art. 2087 c.c., la domanda proposta nei confronti del datore di lavoro senza ulteriori specifiche indicazioni non potrà che essere qualificata di risarcimento del danno differenziale, con la conseguenza che il lavoratore potrà limitarsi ad allegare l'esistenza del rapporto di lavoro, la violazione da parte del datore degli obblighi di natura prevenzionale, specifici o generici, l'esistenza del danno ed il nesso causale con la denunciata violazione.
La Suprema Corte ha ribadito che ai fini dell'accertamento del danno differenziale, non vi è alcuna necessità che il ricorso presenti una puntuale e formale qualificazione dei fatti in termini di illiceità penale, risultando sufficiente che siano dedotte in fatto dal lavoratore circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d'ufficio, soprattutto in virtù del fatto che anche la mera violazione delle regole di cui all'art. 2087 c.c. è idonea a concretare la responsabilità penale.
Inoltre, non occorre neppure, come requisito indefettibile per fondare la pretesa risarcitoria nei riguardi del datore, che il ricorso contenga la specifica deduzione del preteso quantum in termini differenziali rispetto all'indennizzo INAIL, liquidato o liquidabile.
E, infatti, la richiesta del lavoratore di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dall'inadempimento datoriale, è già idonea, a fondare un petitum rispetto al quale il giudice dovrà applicare il meccanismo legale previsto dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, anche ex officio, pur dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all'indennizzo, atteso che, rappresentando il differenziale normalmente un minus rispetto al danno integrale preteso, non può essere considerata incompleta al punto da essere rigettata una domanda in cui si richieda l'intero danno.
Infine, ricorda la S.C., la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale è una domanda di carattere onnicomprensivo e l'unitarietà del diritto al risarcimento e la normale non frazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta; con la conseguenza che, laddove nell'atto introduttivo siano indicate specifiche voci di danno, a tale specificazione deve darsi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà di escludere dal petitum le voci non menzionate.
Ebbene, secondo la S.C., la Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, dando ingresso alla domanda di danno differenziale nonostante l'assenza di una specifica deduzione sul punto, atteso che il lavoratore ha agito in giudizio per l'accertamento, della responsabilità del datore di lavoro per la violazione delle norme antinfortunistiche e del dovere di prevenzione ex art. 2087 c.c., con la conseguente condanna al risarcimento dei danni.
Corte di Cassazione Sez. Lav., ordinanza del 2 novembre 2020, n. 24202