La responsabilità del datore di lavoro di cui all'art. 2087 c.c. è di natura contrattuale. Ne consegue che, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito un danno alla salute l'onere di provare resistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze, l'onere di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di avere adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo.
Per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistemati
co e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.
La Suprema Corte ha affermato che la responsabilità del datore di lavoro di cui all'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma è di natura contrattuale per cui, ai fini del relativo accertamento, sul lavoratore, che lamenti di aver subito a causa dell'attività lavorativa svolta un danno alla salute, incombe l'onere di provare resistenza del danno e la nocività dell'ambiente di lavoro. Solo una volta soddisfatto tale onere probatorio, sarà il datore di lavoro a dover provare di «avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi» (Cass. n. 2038/2013, Cass. n. 3786/2009 e Cass. n. 3788/2009).
La Suprema Corte, ricordando la nozione di mobbing più volte affermata (Cass. n. 26684/2017, Cass. n. 898/2014, Cass. n. 17698/2014, Cass. n. 18836/2013 e Cass. n. 3785/2009), ha poi ribadito che, ai fini della sussistenza di una rilevante condotta lesiva del datore di lavoro, è necessario che via siano sia l'elemento oggettivo (molteplicità e sistematicità di comportamenti vessatori), sia l'elemento soggettivo (intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi). L'accertamento di tali elementi è rimesso al giudizio di fatto non sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, ed è riservato al giudice di merito, il quale dovrà valutare, in maniera rigorosa, entrambi gli elementi costitutivi della fattispecie.
Corte di Cassazione Sez. Lav. 6 maggio 2019, n. 11777