Con la sentenza depositata il 10 luglio 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Quinta Penale è intervenuta su una delicata vicenda giudiziaria che ha coinvolto due docenti di una scuola media in provincia di Catania, accusate rispettivamente di falsità ideologica in atto pubblico e omessa denuncia di reato da parte di pubblico ufficiale. La Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza d’appello, ravvisando vizi di motivazione e violazioni processuali.

L’origine della vicenda risale all’anno scolastico 2012/2013 presso la Scuola Media Statale "Mario Pluchinotta" di Sant’Agata Li Battiati (CT). A seguito della richiesta di accesso agli atti da parte di una madre preoccupata per presunte condotte scorrette dei docenti nei confronti del figlio, sono emerse anomalie nei verbali dei consigli di classe.

La docente, vicepreside e verbalizzante, avrebbe falsamente firmato cinque verbali apponendo la firma della collega, talvolta presente ma inconsapevole, e in un caso (2 maggio 2013) addirittura assente giustificata. La preside, pur venuta a conoscenza del fatto, non denunciò l’accaduto, avviando solo un procedimento disciplinare interno.

La Cassazione ha riconosciuto che i verbali del consiglio di classe costituiscono atti pubblici, dotati di rilevanza interna e capacità probatoria, e che la falsificazione delle firme ne pregiudica la genuinità.

Tuttavia, ha accolto il ricorso limitatamente all’elemento soggettivo del reato: la Corte d’Appello non aveva adeguatamente valutato se la condotta fosse frutto di dolo o semplice negligenza. In particolare:

  • La docente aveva ammesso l’errore.

  • In alcuni casi, la collega era realmente presente.

  • L’atto falsificato riportava comunque contenuti veritieri.

Secondo la Suprema Corte, il dolo non è in re ipsa e va provato, soprattutto nei casi in cui si prospetta una prassi scolastica errata o una leggerezza, come avvenuto in questo caso.

Anche il ricorso della dirigente scolastica è stato parzialmente accolto. La Cassazione ha confermato che:

  • La parte civile aveva interesse legittimo ad appellare la sentenza assolutoria, anche per un reato punito con pena alternativa.

  • Tuttavia, la Corte d’Appello ha violato l’art. 603, comma 3-bis, c.p.p., omettendo di rinnovare le prove orali decisive prima di condannare la preside agli effetti civili.

Il ribaltamento di una sentenza assolutoria (anche solo civilisticamente) impone la riassunzione dei testimoni (in questo caso: Na.Ro., Ga., Ma.St.), poiché la valutazione della loro credibilità è centrale nel giudizio sulla colpevolezza.

La sentenza offre l’occasione per riaffermare alcuni importanti principi:

  • Il verbale del consiglio di classe è un atto pubblico, anche se interno, e può essere oggetto di reato ex art. 476 c.p.

  • Il reato di falso ideologico richiede il dolo, che va dimostrato e non può essere presunto.

  • La parte civile può impugnare la sentenza di assoluzione anche per reati “minori”, seppur ai soli effetti civili.

  • In caso di riforma di una sentenza assolutoria, è obbligatoria la rinnovazione della prova.

La Corte di Cassazione ha dunque annullato la sentenza della Corte d’Appello di Catania, con:

  • Rinvio ad altra sezione per nuovo giudizio penale.

  • Rinvio per nuovo giudizio civile, davanti allo stesso giudice.

Il caso esaminato dalla Cassazione rappresenta un esempio significativo di come errori formali nel contesto scolastico possano sfociare in procedimenti penali, ma anche di come le garanzie processuali, come l’analisi del dolo e la rinnovazione della prova, restino cardini fondamentali nel sistema penale italiano.