Commento al nuovo comma 2-bis del D.Lgs. 62/2017 introdotto dal D.L. 3 settembre 2025

Il recente Decreto-Legge del 3 settembre 2025 sulla riforma dell’esame di maturità ha introdotto, all’art. 17 del D.Lgs. 62/2017, il nuovo comma 2-bis, secondo cui: «L’esame di maturità è validamente sostenuto se il candidato ha regolarmente svolto tutte le prove di cui al comma 2» DL Esami di Stato 03-09-2025.
La finalità è chiara: evitare il fenomeno delle cosiddette “scene mute”, ossia i candidati che, pur presentandosi al colloquio orale, rifiutano di rispondere o oppongono silenzio alla Commissione. L’obiettivo è quello di affermare che senza un’effettiva partecipazione all’orale, l’esame non può dirsi completato.

Il problema è che la soluzione adottata dal legislatore rischia di essere giuridicamente fragile. La norma stabilisce che l’esame è validamente sostenuto solo se il candidato svolge tutte le prove, ma non chiarisce che cosa significhi “svolgere” il colloquio. Ci si dovrà chiedere se basterà presentarsi e rispondere in modo evasivo, o se sarà sufficiente pronunciare poche frasi per dimostrare di aver partecipato. Non è chiaro neppure se uno studente che legge un testo a caso o affronta un tema estraneo alle domande poste dalla Commissione possa dirsi aver comunque “sostenuto” la prova. Senza un punteggio minimo di sufficienza, il terreno resta scivoloso. Non a caso in altre prove pubbliche, come nei concorsi, l’orale è considerato superato solo con un punteggio minimo predeterminato.

In realtà, la cosiddetta “scena muta” non rappresenta tanto una carenza di apprendimento quanto un problema di comportamento. Uno studente che non risponde o che rifiuta deliberatamente di affrontare la prova non manifesta semplicemente una lacuna di conoscenze, ma un atteggiamento di disinteresse o di sfida verso la Commissione. Il diritto scolastico conosce già un istituto idoneo a regolare situazioni simili: la valutazione della condotta. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti (D.P.R. 249/1998) e il D.P.R. 122/2009 stabiliscono che il comportamento concorre alla valutazione complessiva e che voti inferiori a sei comportano la non ammissione all’anno successivo o all’esame. Se uno studente insulta la Commissione durante la prova scritta, la scuola può incidere negativamente sulla condotta e non ammetterlo; allo stesso modo, se al colloquio rifiuta consapevolmente di rispondere, ciò dovrebbe essere trattato come fatto di condotta, da valutare come atto di insubordinazione o mancanza di rispetto istituzionale.

Una riforma più semplice e coerente avrebbe potuto prevedere che la condotta resti in sospeso sino al termine dell’esame, in modo da consentire una valutazione anche dei comportamenti assunti durante le prove finali. In questo modo la questione sarebbe stata ricondotta sul piano disciplinare, senza incidere artificiosamente sulla validità giuridica dell’esame.

Così come è stata scritta, invece, la nuova norma apre inevitabilmente il rischio di ricorsi. Non è difficile immaginare che già dal 2026 si presenteranno candidati che, pur avendo opposto silenzio, impugneranno la decisione della Commissione sostenendo di aver comunque partecipato. Altrettanto prevedibili saranno le contestazioni rivolte a Commissioni troppo “tolleranti”, accusate di aver considerato valida una presenza meramente formale. Saranno quindi i giudici amministrativi a dover stabilire, caso per caso, che cosa significhi davvero “svolgere regolarmente la prova”.

Il legislatore, nel tentativo di chiudere una prassi discutibile, ha scelto la via più complessa e meno chiara. Invece di qualificare la “scena muta” come un problema di condotta, l’ha trasformata in una questione di validità dell’esame, introducendo un concetto vago e contestabile. Così facendo ha probabilmente aperto un fronte di contenzioso che rischia di affollare i TAR già dal prossimo anno. La scuola, invece, avrebbe avuto bisogno di una norma semplice, chiara e facilmente applicabile: la valutazione della maturità non come atto meramente notarile di validità, ma come percorso formativo che comprende anche il comportamento finale del candidato di fronte alla Commissione.