La Corte di Cassazione Sez. Lav., ord. 25 settembre 2024, n. 25661ha affermato che il lavoratore può provare la giustificatezza dell'assenza anche successivamente alla malattia, ove sia stato nell'impossibilità incolpevole di effettuare la prescritta comunicazione, ad esempio per gravissima malattia che abbia impedito al medesimo, o ai familiari, per la gravità della situazione clinica e psicologica del
momento, di effettuare le prescritte comunicazioni al datore di lavoro.
Tali regole trovano applicazione, secondo le circostanze del caso, in base al principio di correttezza e buona fede, anche nella ipotesi di malattia contratta all'estero"
Il lavoratore impugnava il licenziamento, irrogatogli per assenza ingiustificata di 9 giorni, sostenendo che l'assenza era dovuta ad una malattia contratta durante un periodo di ferie all'estero ed era stata comunicata alla società, mediante fax,
con annesso certificato medico.
Nella fase sommaria nonché in quella di opposizione il Tribunale annullava il licenziamento e ordinava la reintegrazione del dipendente.
La società impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d'appello che accoglieva parzialmente il ricorso riducendo la sola indennità risarcitoria.
La Corte d'appello, nel motivare la propria decisione, ha tenuto in considerazione che:
1) Il CCNL applicato prevedeva che l'assenza ingiustificata per almeno quattro giorni rientrava tra le cause di licenziamento disciplinare;
2) il CCNL considerava assenza ingiustificata anche la tardiva comunicazione dell'assenza;
3) il regolamento aziendale consentiva la trasmissione della comunicazione di assenza anche mediante fax;
3) il medesimo regolamento prevedeva che il lavoratore era anche tenuto a comunicare telefonicamente la sua assenza alla società;
4) il comportamento del lavoratore risultava ambiguo in quanto aveva
provveduto a contattare via sms la società solo successivamente alla cessazione dello stato di malattia;
5) a seguito della contestazione dell'assenza ingiustificata il lavoratore si giustificava producendo il solo rapporto di trasmissione del fax senza accludere il certificato;
6) il lavoratore aveva inviato il certificato medico originale all'INPS;
7) la società veniva a conoscenza del certificato solo durante il giudizio.
Alla luce di quanto sopra, la Corte d'appello rilevava che la comunicazione
di assenza per malattia era stata inviata correttamente e tempestivamente alla società e che l'impossibilità da parte della società di averne effettiva conoscenza non metteva in discussione l'avvenuta comunicazione. Per tale motivo la Corte
d'appello escludeva qualunque tipo di addebito in capo al lavoratore.
Avverso tale sentenza la società proponeva ricorso in Cassazione formulando cinque motivi.
Fra questi la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2, co. 2 del D.L. 633/1979 per avere la Corte territoriale ritenuto idonea la modalità di trasmissione del certificato di malattia mediante fax nonostante che la citata norma prevedesse la sola raccomandata come modalità idonea per la trasmissione.
La Suprema Corte respinge il motivo ritenendo che la norma citata non esclude la possibilità di trasmettere il certificato di malattia mediante modalità equivalenti, secondo le forme d'uso che, come nel caso concreto, sono allo stesso modo autorizzate dal regolamento aziendale.
Con successivo motivo la società lamentava violazione e falsa applicazione dell'articolo 1335 c.c. per avere la Corte territoriale presunto l'arrivo del fax partendo dall'unico dato dell'effettivo invio del fax.
La Suprema Corte rileva che la Corte territoriale aveva ritenuto sufficiente l'invio del fax al fine di rispettare gli obblighi di comunicazione della malattia. In aggiunta, riprendendo i principi già espressi precedentemente, la Corte precisa che il contesto delle circostanze da tenere in conto ai fini della valutazione del rispetto degli obblighi di comunicazione da parte del lavoratore andasse interpretato alla luce dei principi di correttezza e buona fede.
Nello specifico, secondo la Corte di Cassazione, la mancata comunicazione della malattia è rilevante ai fini dell'impossibilità della prosecuzione del rapporto di lavoro qualora: 1) renda impossibile per il datore di lavoro controllare lo stato di malattia e la giustificatezza dell'assenza; 2) il lavoratore non possa provare a distanza di tempo la giustificatezza dell'assenza anche tenendo conto di circostanze che ne abbiano reso impossibile la tempestiva trasmissione della comunicazione quale ad esempio una gravissima situazione clinica/psicologica. Rifacendosi a quanto recedentemente enunciato, sulla base dei principi di correttezza e buona fede, la Suprema Corte fa rientrare l'ipotesi di malattia contratta all'estero fra le summenzionate circostanze impeditive. Per tale motivo la Corte di Cassazione ritiene corretto l'operato del dipendente, conferma la correttezza della decisione della Corte territoriale e rigetta il ricorso principale.
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